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Conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo per aziende con piĆ¹ di 15 dipendenti

2013-02-26

Con la circolare n. 3-2012 il Ministero del Lavoro fornisce chiarimenti operativi in ordine al campo di applicazione della normativa, alle motivazioni del licenziamento, alle modalità per l’apertura e lo svolgimento della procedura, nonché agli esiti del tentativo di conciliazione.


La circolare precisa che sono tenuti al rispetto della norma tutti i datori di lavoro, imprenditori e non imprenditori, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupino alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli.


Il calcolo del numero dei lavori occupati deve essere effettuato non già al momento in cui avviene il licenziamento, ma avendo quale parametro di riferimento la c.d. “normale occupazione” nel periodo antecedente (ultimi 6 mesi), senza tener conto di temporanee contrazioni di personale.


Per effetto di specifiche disposizioni legislative, non sono computabili alcune tipologie contrattuali: gli apprendisti, gli assunti con contratto di inserimento, gli assunti con contratto di reinserimento ex art. 20, L. 223/1991, gli assunti già impegnati in lavori socialmente utili o di pubblica utilità ex art. 7, comma 7, del D. Lgs. 81/2000 e i lavoratori somministrati che non rientrano nell’organico dell’utilizzatore. Vanno invece ricompresi i lavoratori delle società cooperative di produzione e lavoro che hanno sottoscritto un contratto di lavoro subordinato, i lavoratori a domicilio, i lavoratori sportivi professionisti. I lavoratori a tempo parziale indeterminato sono calcolati “pro quota” in relazione all’orario pieno contrattuale. Il computo parziale nell’organico riguarda anche gli intermittenti.


Sulle motivazioni del licenziamento il Ministero chiarisce che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti l’attività produttiva è una scelta riservata alla sola valutazione del datore di lavoro, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità.


Alle ragioni inerenti l’attività produttiva vanno aggiunte altre ipotesi che includono, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, l’idoneità fisica, la impossibilità di adibire il dipendente ad altre mansioni, i provvedimenti di natura amministrativa che incidono sul rapporto (es. ritiro della patente di guida o ritiro del porto d’armi per la guardia giurata), le misure detentive. E’ stato poi definitivamente chiarito quanto già anticipato nei mesi scorsi per le vie brevi: non rientra nelle ipotesi di giustificato motivo oggettivo il licenziamento avvenuto per il superamento del periodo di comporto ai sensi dell’art. 2110 c.c. (+ di 180 giorni di malattia all’anno).


Viene ricordato, inoltre, che la procedura obbligatoria di conciliazione è necessaria quanto il datore intende effettuare più licenziamenti individuali nell’arco temporale di 120 giorni, anche per i medesimi motivi, senza raggiungere la soglia dei 5 (art. 24, L. 223/1990).


Il datore di lavoro che intende procedere ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo è obbligato ad inviare a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento o tramite posta certificata una comunicazione scritta alla Direzione del lavoro competente per ambito territoriale (in base al luogo di svolgimento dell’attività del dipendente). Tale comunicazione deve essere trasmessa per conoscenza anche al lavoratore. La comunicazione deve fare riferimento all’intenzione di procedere ad un licenziamento per motivo oggettivo e deve indicarne, in modo preciso e puntuale, le motivazioni e misure di assistenza finalizzate ad una ricollocazione.


Una volta ricevuta la comunicazione, la procedura si intende avviata e la Direzione del lavoro convocherà le parti avanti alla commissione provinciale di conciliazione entro 7 giorni dalla ricezione dell’istanza.


Le parti possono essere assistite dalle organizzazioni di rappresentanza cui siano iscritte o abbiano conferito mandato, da un componente dell’RSA/RSu, da una avvocato e da un consulente del lavoro iscritti al relativo albo.


La procedura di conciliazione si conclude entro 20 giorni dal momento in cui la Direzione Territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l’incontro. Tale termine può essere superato, anche su richiesta della commissione, se le parti lo reputano necessario per il raggiungimento di un accordo.


Il fallimento del tentativo di conciliazione può avvenire sia perché le parti non hanno trovato un accordo, sia perché si è verificata l’assenza o l’abbandono da parte di una di esse. In tali casi, il datore di lavoro può procedere al licenziamento del lavoratore interessato. In alternativa, ser per una qualsiasi ragione non è stata effettuata la convocazione per il tentativo di conciliazione richiesto, trascorsi 7 giorni dalla ricezione della propria richiesta di incontro, il datore può procedere con proprio atto di recesso unilaterale.


Il licenziamento adottato al termine della procedura conciliativa ha effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento è stato avviato, ossia dal giorno di ricezione da parte dell’Ufficio, della comunicazione datoriale relativa al “preavviso di licenziamento”.


Il tentativo di conciliazione può concludersi positivamente e le soluzioni possono essere anche alternative alla risoluzione del rapporto. Se invece si arriva ad una risoluzione consensuale del rapporto, la circolare ricorda che è riconosciuto al lavoratore il diritto al godimento dell’ASPI e che non sarà necessario procedere alla convalida della stessa.

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