2016-04-13
Nell’era della globalizzazione e delle grandi trasformazioni
strutturali, le spinte verso la essibilità e la mobilità nel
mondo del lavoro, l’incertezza e l’instabilità sociale che ne
derivano e la conseguente esigenza di nuove forme di tutela,
pongono con forza nell'agenda delle parti sociali e della politica
la questione della rappresentanza e della contrattazione.
Mentre il contratto nazionale resta necessariamente il fulcro
della regolamentazione dei rapporti tra lavoratore e datore di
lavoro, il corollario degli accordi straticato nell'ultimo
quarto di secolo non appare più utilizzabile di fronte
all'irruzione di norme e di aziende transnazionali o al perdurare
della stagnazione economica che ha tolto centralità, per
esempio, al tema dell'inazione.
Tutti gli attori in campo stanno cercando risposte alla necessità
di interpretare questi cambiamenti: ognuna, però, sembra
volerlo fare per proprio conto.
Se si è denitivamente chiusa l'epoca della "concertazione"
questo non vuol dire, però, che non sia necessario almeno
provare a recuperare quel dialogo sociale che dovrebbe
rappresentare la via maestra in una società complessa
e articolata come la nostra.
Provvedimenti assunti "inaudita altera parte", stanno producendo
eetti nefasti e probabilmente costi maggiori dei risparmi
sperati: basti pensare al clamoroso caso dei lavoratori
"esodati" o agli ormai famosi "Quota96" del settore scolastico.
Eppure proposte in campo ci sono, sia da parte "sindacale" -
anche con signicative "novità" -, sia da parte governativa.
In Parlamento, poi, giacciono proposte di legge - che vanno
dalla previdenza no alla rappresentanza - che potrebbero
orire un valido contributo ai problemi che abbiamo sul tavolo.
Far ripartire il confronto tra chi rappresenta interessi deboli e
diusi ed il legislatore non può che far bene alla democrazia
ed al mondo del lavoro e delle imprese.
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