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Liceità commercio "cannabis light"

In data 9 maggio 2019, il Ministero dell'Interno ha diramato una circolare relativa alla commercializzazione di canapa ed alla connessa normativa sugli stupefacenti, con l'obiettivo di contenere il fenomeno in continua espansione del mercato della vendita di derivati e infiorescenze di Cannabis.
La circolare citata interviene su un tema molto "caldo" considerato che, da un paio di anni, si è diffuso il fenomeno della vendita di prodotti di vario tipo contenenti derivati dalla varietà Cannabis sativa L. (c.d. "Cannabis legale" o "Cannabis light", con una percentuale di principio attivo – tetraidrocannabinolo o THC - inferiore al limite dello 0,6%), come tisane, decotti, foglie e inflorescenze essiccate vendute come "prodotto tecnico" o "prodotto da collezione", ecc., commercializzati in esercizi commerciali più o meno specializzati nella vendita di tali prodotti.
Il limite dello 0,6% di THC è stato interpretato, nella pratica comune, come il riferimento per la liceità del commercio di prodotti venduti, solitamente, come "tecnici" o "da collezione".
Prima di accennare agli effetti che la circolare potrà determinare, è necessario inquadrare da un punto di vista normativo e giurisprudenziale la fattispecie in oggetto.


1. Quadro normativo
La normativa italiana di riferimento per la Cannabis è costituita:

  • dal D.P.R. 309/1990 Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza;
  • dalla L. 242/2016 Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.


Il D.P.R. 309/1990 considera foglie, inflorescenze, olio e resina della Cannabis sostanze stupefacenti sottoposte al controllo del Ministero della Salute, come indicato dal combinato disposto dalla tabella II e dall'art.13 del decreto, e non contempla alcun valore discriminante di contenuto di THC per la Cannabis o per parti della pianta.
Tuttavia, l'art. 26 consente la coltivazione di canapa esclusivamente per la produzione di fibre o per altri usi industriali mentre vieta la coltivazione delle piante comprese nelle tabelle I e II di cui all'articolo 14, salvo munirsi dell'autorizzazione del Ministero della sanità, ai senso dell'art. 17.
Il decreto dispone specifiche pene, per qualunque soggetto, sia nel caso di produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope (art.73) sia nel caso di consumo personale delle stesse (art.75), tenendo conto, in questo caso, di determinate circostanze, tra cui la quantità di THC inferiore o superiore al limite di 500 mg stabilito dal decreto del Ministero della Salute dell' 11 aprile 2006.

La L. 242/2016 disciplina il sostegno e la promozione della coltivazione (senza necessità di autorizzazione ex art. 2, comma 1) e della filiera della canapa (Cannabis sativa L.) per quelle varietà ammesse - iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole - che non rientrano nell'ambito di applicazione del testo unico D.P.R. 309/1990, a condizione che:

  • la loro coltura sia finalizzata agli scopi di cui al comma 3, art. 1 della legge, di seguito elencati:
    1. alla coltivazione e alla trasformazione;
    2. all'incentivazione dell'impiego e del consumo finale di semilavorati di canapa provenienti da filiere prioritariamente locali;
    3. allo sviluppo di filiere territoriali integrate che valorizzino i risultati della ricerca e perseguano l'integrazione locale e la reale sostenibilità economica e ambientale;
    4. alla produzione di alimenti, cosmetici, materie prime biodegradabili e semilavorati innovativi per le industrie di diversi settori;
    5. alla realizzazione di opere di bioingegneria, bonifica dei terreni, attività didattiche e di ricerca.
  • il limite massimo di contenuto complessivo di THC nelle piante sia pari allo 0,2%, con tollerabilità fino allo 0,6% (art.4, comma 5).


Tale limite deriva dalle disposizioni comunitarie inerenti i regimi di sostegno diretto agli agricoltori (par.6, art.32, del Reg. 1307/2013), così come già espresso dalla circolare n.1 datata 8 Maggio 2002 dell'allora Ministero delle politiche agricole e forestali in ragione dell'inserimento della canapa destinata alla produzione di fibre, compatibilmente con le disposizioni comunitarie vigenti: il pagamento per superficie è subordinato all'utilizzazione di varietà di canapa aventi tetraidrocannabinolo (THC) non superiore allo 0,2%.
Per quanto riguarda i prodotti alimentari, la L. 242/2016 prevede, ai sensi dell'art. 5, che il Ministero della Salute avrebbe dovuto adottare, entro luglio 2017, un decreto atto a definire i livelli massimi di residui di THC ammessi negli alimenti, ma tale decreto non è stato ancora emanato.
ll Ministero della Salute, al momento, ha dato indicazioni tramite la Circolare n. 0015314 del 22 Maggio 2009. La circolare chiarisce che gli unici prodotti derivati dalla Cannabis che attualmente possono essere commercializzati in Italia sono i semi di canapa e i loro derivati (farine ed oli), perché non contengano THC.
a possibilità di rilevare tracce di sostanze psicoattive nei semi di canapa, infatti, è dovuta solo ad eventuali contaminazioni da parte di organi della pianta che possono avvolgere il seme anche a maturazione completa, come foglie e inflorescenze.
Con specifico riguardo alle inflorescenze della canapa, il Mipaaft ha emanato la Circolare n.5059 del 23 Maggio 2018 in cui precisa che queste, pur non essendo citate espressamente dalla L.242/2016, né tra le finalità né tra i suoi possibili usi, rientrano nell'ambito […] delle coltivazioni destinate al florovivaismo, purché tali prodotti derivino da una delle varietà ammesse, iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, il cui contenuto complessivo di THC della coltivazione non superi i livelli stabiliti dalla normativa, e sempre che il prodotto non contenga sostanze dichiaratamente dannose per la salute dalle Istituzioni competenti.
Sia il Ministero della Salute sia il Mipaaft pongono attenzione alla pericolosità del THC e di altre sostanze pericolose, ma sulla liceità del commercio di tali prodotti espongono posizioni contrastanti ed inoltre il profilo della commercializzazione non viene menzionato dalla l. 242 sopra citata.


2. Quadro giurisprudenziale
La mancanza di una disciplina specifica sulla commercializzazione al dettaglio delle sostanze derivanti da tale coltivazione è probabilmente all'origine del contrasto interpretativo determinatosi nella giurisprudenza.


Corte di cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 17.12.2019 n. 56737
Il primo orientamento (restrittivo) è riassunto dalla seguente massima: "la liceità della cannabis è circoscritta alla sua coltivazione e alla destinazione dei prodotti coltivati entro l'alveo delle previsioni esplicite contenute nella legge n. 242 del 2016. Le disposizioni di questa legge che consentono, a certe condizioni, la coltivazione di cannabis sono ritenute norma eccezionale e sicuramente non estensibili analogicamente alle altre condotte disciplinate dal Decreto del presidente della Repubblica n. 309/90 tra le quali la vendita e la detenzione per il commercio. Da questo assunto, si conclude che la presenza di un principio attivo sino allo 0,6% è consentita solo per i coltivatori non anche per chi commerci i prodotti derivati dalla cannabis".
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione penale ha espressamente statuito che: "la L. n. 242 ha previsto la liceità della sola coltivazione della cannabis sativa L per finalità espresse e tassative, mentre la commercializzazione dei prodotti della coltivazione e le conseguenti condotte di detenzione e cessione di tali derivati continuano a essere sottoposte alla disciplina del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a condizione che le sostanze presentino comunque un effetto drogante rilevabile".
In particolare, emergono in questa sentenza, degli aspetti che definiscono un chiaro orientamento tendente ad escludere l'applicazione della L. 242 per quanto riguarda la commercializzazione di tali sostanze, in considerazione del fatto che, "la Cannabis Sativa L., in quanto contenente il principio attivo Delta-9-THC, presenta natura di sostanza stupefacente sia per la previgente normativa (Testo Unico di cui al D.P.R. 309/1990) che per l'attuale disciplina (L.242/2016)".
Prosegue ritenendo che la coltivazione, "è consentita esclusivamente per le finalità espressamente e tassativamente indicate dalla L.242/2016, all'art. 1, comma 3, dal novero delle quali esula il commercio delle infiorescenze e dalla resina. Ne consegue che la L. 242/2016 non ha introdotto il principio di liceità delle condotte di detenzione e cessione della marijuana e dell'hashish, quali derivati della coltivazione di cannabis sativa L e, dunque, la commercializzazione delle predette sostanze, sempre che presentino un effetto drogante rilevabile, integra tuttora gli estremi del reato di cui all'art. 73 D.P.R. n. 309 del 1990".


Corte di cassazione – Sezione VI penale – Sentenza 31.01.2019 n. 4920
Secondo un diverso orientamento, è da considerarsi lecita la commercializzazione dei prodotti della canapa e pertanto rientrante nella disciplina prevista dalla L. n. 242/2016.
In tal senso si è espressa questa recente sentenza, pubblicata alla fine dello scorso mese di gennaio.
In particolare, tale pronuncia ha ritenuto che, "in tema di sostanze stupefacenti, è lecita la commercializzazione di inflorescenze di "cannabis sativa L." proveniente da coltivazioni consentite dalla legge 2 dicembre 2016, n. 242, a condizione che i prodotti commercializzati presentino un principio attivo di THC non superiore allo 0.6 %.
Nello specifico, i giudici della Suprema Corte sono arrivati a tale conclusione in considerazione del fatto che, dalla liceità della coltivazione della canapa alla stregua della L. 242/2016, deriva, di conseguenza, la liceità dei suoi prodotti, contenenti un principio attivo inferiore allo 0,6%, poiché essi non possono più essere considerati, in virtù di tale normativa, sostanze stupefacenti soggette alla disciplina del d.P.R. n. 309/1990.
Inoltre, secondo la Corte, la fissazione del limite dello 0,6% di THC, entro il quale l'uso delle infiorescenze della cannabis proveniente dalle coltivazioni contemplate dalla L. n. 242/2016 è lecito, rappresenta l'esito di quello che il legislatore ha considerato un ragionevole equilibrio fra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e dell'ordine pubblico e le conseguenze della commercializzazione dei prodotti delle coltivazioni.
Pertanto, secondo questo orientamento, la percentuale dello 0,6% di THC costituisce il limite minimo al di sotto del quale i possibili effetti della cannabis non possono essere considerati, sotto il profilo giuridico, psicotropi o stupefacenti.


3. Ordinanza di rimessione alla Sezioni Unite;
La IV sezione penale della Suprema Corte, proprio rilevando questo evidente contrasto, ha emesso un'ordinanza (n. 8654 del febbraio 2019) di remissione della questione alle Sezioni Unite al fine di dirimere questa controversia con il quesito così formulato: "se le condotte diverse dalla coltivazione di canapa delle varietà di cui al catalogo indicato nell'art. 1, comma 2, legge 2 dicembre 2016 n. 242 – e, in particolare, la commercializzazione di cannabis sativa L – rientrino o meno nell'ambito di applicabilità della predetta legge e siano pertanto penalmente irrilevanti, ai sensi di tale normativa".
Più nello specifico, la IV sezione ha ritenuto che entrambe le tesi sono supportate da argomentazioni valide, sia sotto il profilo testuale che logico-sistematico rilevando, a sostegno del primo orientamento (restrittivo), che "dai lavori preparatori della legge n. 242 del 2016 non emerge la volontà del legislatore di consentire la commercializzazione della marijuana e dell'hashish provenienti dalle coltivazioni della canapa", così ribadendo che qualunque indicazione relativa allo scopo di consentire la loro commercializzazione è estranea all'elenco tassativo delle finalità di cui all'art. 1, comma 3, L. 242.
Ciò porterebbe a non ritenere condivisibile la tesi secondo cui la commercializzazione di un bene che non presenti intrinseche caratteristiche di illiceità debba, in assenza di specifici divieti di legge, ritenersi consentita, nell'ambito del generale potere di ogni individuo di agire per il soddisfacimento dei propri interessi.
Invece, a sostegno del secondo orientamento, la Corte evidenzia che il legislatore, con l'aver ammesso l'utilizzo di alimenti contenenti residui di THC, ha voluto sancire la liceità del consumo umano, e quindi della commercializzazione di prodotti contenenti tale principio attivo, sia pure nelle condizioni e nei limiti stabiliti dalla normativa.
Pertanto, alla luce di tali considerazioni sarebbe contraddittorio ritenere penalmente rilevante la detenzione, cessione e vendita di derivati della cannabis provenienti dalle coltivazioni contemplate dalla L. n. 242, se la coltivazione di canapa delle varietà ammesse esula dall'ambito applicativo del d.P.R. 309/1990 e quindi, se è considerata lecita la commercializzazione di prodotti alimentari contenenti THC.
Ciò posto, essendo evidente il contrasto giurisprudenziale in materia, la IV Sezione ha ritenuto necessario rimettere alle Sezioni Unite la risoluzione del suddetto quesito di diritto.


4. Circolare Ministero dell'Interno;
Da ultimo, come evidenziato, sul tema è intervenuto anche Il Ministero dell'interno che, a fronte della rilevanza assunta dal fenomeno, ha ritenuto opportuno dare i propri indirizzi operativi per il corretto ambito di applicazione della L n. 242/2016.
Secondo il Ministero, è stata impropriamente pubblicizzata come consentita dalla sopra citata legge 242 la vendita di derivanti e infiorescenze di Cannabis circostanza che ha comportato una crescita esponenziale del relativo mercato, in esercizi commerciali dedicati o misti nonché online.
Precisa che, "in realtà, tra le finalità della coltivazione della canapa industriale non è compresa la produzione e la vendita al pubblico delle infiorescenze, in quanto potenzialmente destinate al consumo personale, in quantità significative da un punto di vista psicotropo e stupefacente, attraverso il fumo o analoga modalità di assunzione".
Il Ministero inoltre recepisce quanto disposto dal Consiglio Superiore di Sanità, ovvero che "l'impiego di simili preparati, erroneamente percepito come "legale" e quindi sicuro dal punto di vista della salute, rischia di tradursi in un danno anche grave per se stessi e per gli altri – basti pensare agli effetti per chi guida in stato di alterazione o alle donne in gravidanza o allattamento – raccomandando l'adozione di misure per vietare la libera vendita di tali prodotti".
Ciò premesso, in considerazione del fatto che l'area di applicazione della L. n. 242/2016 è estranea alla cessione pura e semplice dei derivati dalla canapa per fini voluttuari, il Ministero, con la sua direttiva ha disposto che l'azione finora condotta dalle forze dell'ordine al fine di prevenire il dilagare di tale fenomeno, debba essere messa a sistema e ulteriormente implementata, alla luce dei recenti sviluppi che hanno interessato il settore.
Pertanto, il Ministero ha disposto un'approfondita analisi del fenomeno, tenendo conto di tutti i fattori di rischio che dovrà essere fatta attraverso i Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica con la partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, dei Sindaci e della magistratura e dovrà contemplare:

  • la puntuale ricognizione di tutti gli esercizi e le rivendite sul territorio;
  • la verifica del possesso delle "certificazioni su igiene, agibilità, impiantistica, urbanistica e sicurezza, richieste dalla legge per poter operare";
  • la verifica della "localizzazione degli esercizi, con riferimento alla presenza nelle vicinanze di luoghi sensibili quanto al rischio di consumo delle sostanze, come le scuole (…), i luoghi affollati e di maggiore aggregazione, soprattutto giovanile".


In esito a tale attività i Comitati provinciali dovranno predisporre "un programma straordinario di prevenzione di eventuali comportamenti vietati da parte degli operatori commerciali, specialmente se diretti verso la categoria più vulnerabile degli adolescenti".
Questi programmi dovranno definire con gli enti locali intese collaborative al fine di individuare le aree interessate tra quelle da sottoporre all'interno dei piani di controllo coordinato del territorio nonché svolgere analisi sui prodotti acquistati negli esercizi in esame, al fine di scongiurare situazioni di detenzione e vendita che rientrano nel perimetro sanzionatorio della normativa antidroga.
La direttiva infine si spinge a sollecitare gli enti locali affinchè, in relazione a possibili nuove aperture di tali esercizi, sia prevista, sul modello dei provvedimenti adottati per le sale da gioco, una distanza minima di almeno 500 metri dai luoghi considerati a maggior rischio.
La direttiva richiede infine la produzione, entro il prossimo 30 giugno, di uno specifico report sulle risultanze della ricognizione svolta e sulle iniziative intraprese.


Si ricorda sul punto che la Confederazione, in risposta a specifici quesiti ricevuti da Federazioni nazionali volti a conoscere la liceità della vendita di tali prodotti, ha sempre evidenziato:

  • che l'incertezza complessiva del quadro normativo/giurisprudenziale sopra evidenziato non consentisse di affermare con base certa la liceità della vendita della così detta "cannabis light" contenente una percentuale di principio attivo, THC, tra 0,2% e 0,6%;
  • che chi intendesse produrre o commercializzare prodotti costituiti o derivati da Cannabis Sativa L., come tisane e decotti, vendendoli o somministrandoli, avrebbe, quindi, necessariamente dovuto considerare la possibilità di poter essere comunque soggetto a sanzione, senza considerare, le responsabilità degli operatori sia in termini di sicurezza alimentare sia in termini di informazione al consumatore, ai sensi della normativa di settore.


Come appare evidente, la direttiva del Ministero dell'interno è chiaramente orientata verso un'interpretazione restrittiva rispetto alla liceità della vendita della "cannabis light".
Tuttavia, soltanto la decisione delle Sezioni Unite, prevista per la fine del corrente mese, potrà fornire un orientamento più sicuro in ordine alla legittimità della commercializzazione della cd "cannabis light".

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