Chi vive con una sola pensione o quasi può avere qualcosa in più della pensione minima. la legge, riconosce, infatti le cosiddette maggiorazioni sociali, che variano in base all’età
Già da qualche anno con la Legge n. 122 del 2010, sono cambiati i parametri con cui i pensionati ottengono le prestazioni legate al reddito. Anche quest’anno è confermata la seguente applicazione: - in caso di concessione per la prima volta della prestazione, i redditi da utilizzare sono quelli presenti nell’anno in corso, così anche i limiti di reddito da prendere a base;
- in caso di una prestazione già concessa, i redditi da sottoporre a verifica sono quelli riferiti all’anno in corso e all’anno precedente, mentre i limiti di reddito sono quelli dell’anno in corso. Nel 2017, per esempio, per i già pensionati sul modello Red - che gli stessi debbono inoltrare tramite il Caf entro fine aprile prossimo (salvo proroghe) - va riportato il reddito del 2016 (redditi diversi) e il presunto 2017 su cui viene confermato, ridotto o aumentato l’importo di pensione spettante.
IL CALCOLO DELLA PENSIONE MINIMA
Per capire il criterio con cui si attribuisce l’integrazione dobbiamo ricordare che l’Inps calcola la pensione sulla base dei versamenti effettuati. Ma se l’importo è inferiore al minimo di legge (501,89 euro al mese nel 2017), aggiunge la differenza un’integrazione a carico dello Stato. Ma l’integrazione, un tempo concessa a chiunque avesse maturato il diritto alla pensione, oggi è legata ai redditi personali, per chi vive da solo, e a quelli della coppia, per chi è coniugato. La legge fissa determinati limiti di reddito aggiornati di anno in anno in base al tasso di inflazione. Al riguardo va chiarito che mentre nel 2015 la percentuale di inflazione è stata dello 0,2%, nel 2016 il tasso provvisorio di perequazione, rilevato dall’Istat, si è attestato al -0,1% (deflazione). Da gennaio scorso, infatti, tutti i pensionati hanno ricevuto un trattamento pensionistico identico a quello percepito nel 2016. Ciò vale anche per i limiti di reddito, rimasti invariati. Chi non li supera non è detto che riceva come integrazione la differenza tra la pensione maturata e il trattamento minimo. A seconda del reddito può essere assegnata la misura intera o ridotta. Ma vediamo com’è la situazione per i pensionati che vivono da soli. Anche quest’anno possono contare sul trattamento minimo di 501,89 euro mensili se il loro reddito annuo non supera i 6.524,57 euro. Se il reddito extra pensione si colloca tra i 6.524,57 euro e i 13.049,14 euro l’integrazione spetta in misura ridotta, pari alla differenza tra quest’ultimo importo e il reddito conseguito. Per esempio, un pensionato che ha maturato con i soli contributi una pensione di 200 euro al mese e possiede altri redditi (case, altre pensioni, ecc.) per 10.000 euro l’anno, ottiene una integrazione di 234,54 euro (13.049,14 - 10.000 : 13), per cui la pensione sarà di 434,54 euro al mese, inferiore al trattamento minimo.
I REDDITI PERSONALI E DELLA COPPIA
Il discorso è più complicato per le persone coniugate che devono superare un doppio sbarramento, cioè il reddito personale e quello di coppia. Già nel 2016 e anche quest’anno la situazione si presenta così:
- reddito personale che non supera 6.524,57 euro e reddito della coppia non oltre 19.573,71 euro; in questo caso, spetta l’integrazione intera e viene garantito il trattamento minimo di 501,89 euro al mese;
- reddito personale compreso tra 6.524,57 e 13.049,14 euro e reddito della coppia compreso tra 19.573,71 e 26.098,28 euro. In questo caso l’integrazione spetta in misura ridotta.
La legge stabilisce che l’importo spettante è quello minore risultante dal doppio confronto tra il limite massimo di reddito personale (13.049,14) e quello effettivamente posseduto e tra il limite di reddito di coppia (26.098,28) e quello conseguito. Nella Tabella A sono sintetizzati i requisiti per ottenere l’integrazione per gli anni 2016 e 2017.
LE MAGGIORAZIONI SOCIALI
Chi vive con una sola pensione o quasi può avere qualcosa in più della pensione minima. La legge riconosce, infatti, le cosiddette maggiorazioni sociali, che variano in base all’età del pensionato. La quota aggiuntiva è di 25,83 euro al mese per coloro che hanno dai 60 ai 64 anni, di 82,64 euro per chi ha un’età che si colloca tra 65 e 69 anni. Dai 70 anni in su l’integrazione è di 136,44 euro. I 70 anni richiesti si possono ridurre fino a 65, in ragione di un anno per ogni cinque di contributi versati. Per gli invalidi totali l’età minima è di 60 anni (pensione al milione di lire). Nel 2016 e 2017 le maggiorazioni sono subordinate al non superamento dei limiti di reddito riportati nella Tabella B. Per i non coniugati il limite di reddito personale è dato dall’ammontare del trattamento minimo, più l’importo annuo della maggiorazione. Mentre per i coniugati il reddito della coppia non deve superare il limite personale, maggiorato dell’importo dell’assegno sociale (448,07 euro mensili nel 2017).
LA PENSIONE AL MILIONE
Chi ha ottenuto la maggiorazione fino ad un milione di vecchie lire al mese può contare quest’anno su un assegno di 638,82 euro. La cifra si ricava sommando all’importo del trattamento minio di 501,89 euro la maggiorazione di 136,44 euro prevista dalla legge n. 127/2007 che ha aumentato le pensioni basse. La maggiorazione spetta ai pensionati meno abbienti dai 70 anni in su (60 anni se invalidi totali). Nel 2017 ne può beneficiare chi ha un reddito personale annuo non superiore ad 8.298,29 euro o cumulato con quello del coniuge, se sposato, che non vada oltre 14.123,20 euro. Per evitare disparità di trattamento tra chi ha versato contributi per parecchi anni e chi ha raggiunto la pensione con pochi versamenti, la legge ha previsto che il limite di 70 anni per ottenere l’aumento si riduca, fino ad un massimo di 65 anni, di un anno ogni 5 di contributi versati.
QUALI REDDITI
Sia per la pensione minima che per la maggiorazione sociale, l’Inps considera tutti i redditi di qualsiasi natura, compresi quelli esenti o tassati alla fonte come gli interessi bancari e postali, i rendimenti da Bot e altri titoli. Nel computo rientrano anche le rendite Inail e gli assegni assistenziali. In altre parole bisogna denunciare tutto eccetto i redditi provenienti da: casa di abitazione; pensioni di guerra; assegno di accompagno; trattamenti di famiglia; sussidi erogati da Enti Pubblici senza carattere di continuità.
LA SOSPENSIONE E LA REVOCA DELLA PENSIONE
Dalle annuali verifiche dell’Inps risulta non pervenuto un buon numero di Red 2015 (redditi dell’anno 2014). Quello dei Red mancanti è un fenomeno in aumento, perché l’Istituto, per effetto della legge n. 122 del 2010, non è più tenuto ad inviare al domicilio dei pensionati il modello da compilare. Sempre detta normativa ha previsto anche la sospensione e poi la revoca per quei pensionati che non dichiarano all’amministrazione finanziaria né all’Inps i propri redditi rilevanti ai fini della prestazione in godimento. Se entro i 60 giorni successivi alla sospensione la dichiarazione viene resa, la pensione viene ripristinata dal mese successivo alla comunicazione; se invece entro i 60 giorni successivi alla sospensione la dichiarazione non viene resa, l’Inps procede alla revoca in via definitiva della pensione collegata al reddito e al recupero di tutte le somme erogate a tale titolo nel corso dell’anno di riferimento. Gli interessati alla mancata dichiarazione del 2015 sono stati sollecitati dall’Inps già lo scorso dicembre, mentre la trasmissione del Red andava effettuata entro il 31 marzo 2017, pena la revoca della pensione. La notifica della sospensione è stata inviata con raccomandata a tutti coloro che, nel 2015, non avevano compiuti 80 anni di età. È opportuno, comunque, data la particolare applicazione normativa, rivolgersi agli uffici del Patronato 50&PiùEnasco e 50&PiùCaaf che, gratuitamente e presenti su tutto il territorio nazionale, sono in grado di fornire tutte le informazioni, i chiarimenti necessari e presentare le eventuali domande on-line di maggiorazione sociale e l’invio del modello Red.