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Pensioni superiori al minimo: nuovo criterio di rivalutazione

In questi ultimi 15 anni l’adeguamento al costo della vita (la cosiddetta perequazione automatica), per i pensionati con importi superiori “al minimo”, è stato oggetto di particolari attenzioni da parte del legislatore che ha rivisto le regole allo scopo di aggiustare i conti pubblici.

Per il biennio 2012/2013, già chiuso, la manovra “Monti/Fornero” del 2011, aveva stabilito che la rivalutazione andasse riconosciuta esclusivamente alle pensioni di importo complessivo fino a tre volte il trattamento minimo Inps, cioè nella misura del 100 per cento sulla quota di pensione non superiore a 1.443 euro mensili.

 

La rivalutazione con il vecchio criterio

Dal primo gennaio di quest’anno la situazione dei pensionati riguardo la perequazione sarebbe dovuta ritornare alle regole ordinarie, stabilite con la legge finanziaria del 1999, cioè in base ai seguenti scaglioni:

  • Sulla quota di pensione fino a tre volte il trattamento minimo Inps con il tasso di aumento pieno, cioè al 100% (per il 2014 si sarebbe dovuto applicare l’1,2% pieno);
  • Sulla quota di pensione superiore a tre volte e fino a cinque volte il minimo Inps con il tasso al 90% (per il 2014 si sarebbe dovuto applicare l’1,08% cioè il 90% di 1,2%);
  • Sulla quota di pensione superiore a cinque volte il minimo Inps, con il tasso al 75% (per il 2014 si sarebbe dovuto applicare lo 0,90% cioè il 75% di 1,2%). Per esempio, su una pensione mensile lorda di 2.000 euro, la rivalutazione 2014 sarebbe dovuta avvenire in questo modo:
  • 1,2% sulla quota di pensione fino a 1.486,29 euro (tre volte il minimo Inps);
  • 1,08% su 513,71 (quota di pensione superiore a tre volte il minimo Inps).

 

Il nuovo criterio 2014

La legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013, comma 483) ha sostituito questo criterio con un altro a cui ha dato validità di un triennio, cioè per gli anni dal 2014 al 2016. A partire da quest’anno, dunque, la rivalutazione si applica per ogni singolo beneficiario in funzione dell’importo complessivo delle pensioni ad un tasso unico individuato dalla classe a cui appartiene la pensione (o la somma di più trattamenti):

 

  • al 100% sulle pensioni d’importo complessivamente fino a tre volte il trattamento minimo Inps;  
  • al 95% sulle pensioni d’importo complessivamente superiori a tre volte e fino a quattro volte il minimo Inps;  
  • al 75% sulle pensioni d’importo complessivamente superiori a quattro volte e fino a cinque volte il minimo Inps; 
  •  al 50% sulle pensioni d’importo complessivamente superiori a cinque volte e fino a sei volte il minimo Inps; 
  • al 40% sulle pensioni d’importo complessivamente superiori a sei volte il minimo Inps, ma senza rivalutare la quota di pensione d’importo superiore a sei volte il minimo Inps (anno 2014);  
  • al 45% sulle pensioni d’importo complessivamente superiori a sei volte il minimo Inps (anni 2015 e 2016).

 

In altre parole, una volta individuato in quale classe (o fascia) ricade il beneficiario (considerando tutte le pensioni di cui sia titolare), è al relativo tasso che viene applicata la rivalutazione.

La tabella che alleghiamo indica le fasce di importo mensile e la relativa rivalutazione spettante per il 2014.

Riprendendo l’esempio precedente (vecchio criterio di rivalutazione), in base al nuovo criterio il pensionato che percepisca una o più pensioni per un importo complessivo paria 2.000 euro mensili lordi ha diritto ad una rivalutazione per l’anno 2014 dell’1,14%.

L’intero importo di pensione viene rivalutato in base a tale tasso, mentre con il vecchio criterio degli scaglioni la rivalutazione sarebbe stata superiore, cioè dell’1,2% almeno fino a euro 1.486,29 mensili.

Continuare a tagliare le pensioni sia con il blocco della perequazione e sia  con il contributo di solidarietà,  fa salire la pressione tributaria complessiva fino al 61%, senza peraltro soddisfare l’annunciato obiettivo di togliere ai ricchi per dare ai poveri. Questi continui inganni distruggono il valore sociale della previdenza e non danno fiducia a quelli che oggi lavorano e versano contributi per garantirsi un futuro, senza avere nessuna certezza come dimostrano gli esodati.

Questi provvedimenti allontanano i giovani dalla cultura previdenziale che dovrebbe essere un pilastro di un Paese evoluto. Il Governo deve porsi ben altri obiettivi, la reiterazione di politiche pseudo distributive non risolve il problema di un’Italia che non cresce.

Continuando di questo passo, se non si crea nuova ricchezza, non ci sarà più nulla da distribuire.

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