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Trattamento minimo delle pensioni: requisiti e condizioni

Il trattamento minimo delle pensioni è una misura di tutela sociale prevista dall’ordinamento italiano al fine di garantire ai pensionati il reddito minimo, considerato essenziale per una vita dignitosa. Quindi, se la pensione spettante risulta più bassa di una certa soglia, l’INPS provvede a integrarla fino a raggiungere l’importo minimo previsto dalla legge.
Il valore del trattamento minimo viene aggiornato ogni anno sulla base dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo, per tenere conto dell’inflazione e dell’aumento del costo della vita.
Per il 2025 il trattamento minimo è stato fissato a 603,40 euro mensili per tredici mensilità. A questo importo si aggiunge un incremento del 2,2%, stabilito dalla Legge di Bilancio 2025, che porta l’assegno minimo a 616,67 euro al mese.


A chi spetta l’integrazione
Il diritto all’integrazione al minimo spetta a chi percepisce una pensione di importo inferiore al trattamento minimo, e soddisfa i seguenti requisiti:

  • essere titolari di pensioni dirette (vecchiaia, anticipata, invalidità) o indirette (reversibilità, superstiti) erogate dall’INPS, dai fondi speciali per i lavoratori autonomi o dai fondi sostitutivi o esclusivi dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO);
  • aver maturato il diritto alla pensione con il sistema retributivo o misto, cioè aver iniziato a versare contributi prima del 1° gennaio 1996;
  • avere la residenza in Italia.


Restano esclusi dall’integrazione al minimo i titolari di pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo, ovvero coloro che hanno versato il primo contributo dopo il 31 dicembre 1995.


Trattamento minimo delle pensioni: limite di reddito
Il limite di reddito per ottenere l’integrazione al minimo della pensione viene stabilito annualmente e varia in base alla situazione familiare del pensionato (single o coniugato) e alla data di decorrenza della pensione.
Per i pensionati non coniugati il limite di reddito personale per avere diritto all’integrazione piena è pari a 7.844,20 euro annui.
Se il reddito personale supera questa soglia, ma resta inferiore a 15.688,40 euro annui, spetta comunque un’integrazione parziale.


Nel caso di pensionati coniugati, la normativa distingue tra:

  • pensioni con decorrenza fino al 31 gennaio 1994: si considerano solo i redditi del titolare, anche se è sposato;
  • pensioni con decorrenza successiva al 31 gennaio 1994: si valutano sia i redditi individuali che quelli del coniuge. In questo caso, il pensionato non deve superare il limite individuale di 15.688,40 euro annui e il reddito complessivo della coppia non deve oltrepassare quattro volte il trattamento minimo, pari a 31.376,80 euro annui per il 2025.


L’integrazione viene riconosciuta in misura piena se il reddito (personale o coniugale) rientra nei limiti minimi. Se invece supera il minimo, ma resta entro il tetto massimo previsto, l’integrazione sarà parziale: l’importo viene calcolato sottraendo il reddito dal limite massimo e dividendo la differenza per il numero di mensilità.
Nel caso dell’assegno ordinario d’invalidità, a differenza delle altre tipologie di pensioni, il legislatore ha previsto una regola speciale: qualora l’importo sia inferiore al minimo, può essere integrato – nel rispetto dei requisiti reddituali – fino ad un massimo pari al trattamento minimo (603,40 euro mensili nel 2025), ma non oltre l’importo dell’assegno sociale (538,69 euro).
La Corte ha riconosciuto che, trattandosi di una tutela legata a una condizione di bisogno oggettivo, anche chi rientra nel solo sistema contributivo deve poter accedere all’integrazione, così da non restare privo di sostegno economico in età attiva.

 

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Fonte 50 & PIU' ENASCO news

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